Inizio il post senza titolo, giacché non ne sento la pressante esigenza e poiché WP è santo e non lo richiede e io mi accontento di copiare il suo “Enter title here” o di lasciare uno spazio bianco, devo ancora decidere quale dei due è più metafora del vuoto. Orbene, essendo oggi venerdì, ormai non dovrei stupirmene, ma mi piace pensare che il tempo non sia ciclico e che non piovano così spesso escrementi, eppure è stata una giornata di pioggia di merda. In senso metaforico e non, si capisce e s’intende. È piovuto, sebbene io non volessi, sebbene io non abbia dato il mio consenso, sebbene nessuno sia venuto a chiedermi se proprio non mi infastidiva lo svuotamento della vescica di Dio su di noi e quindi non posso che soffrire di questo meteo che cade a pezzi bagnati addosso a me senza nemmeno volere o necessitare il mio beneplacito. In realtà, che avrebbe piovuto, sebbene potessi immaginarlo grazie all’ampia esperienza che ho accumulato in anni di aruspicina praticata su di me e sulle lucertole, un po’ non me l’aspettavo, ché dopo sei giorni di pioggia uno non agogna il sole e nemmeno l’anela, suppone solo che sia carino che non ci si dimentichi della sua esistenza. E invece nulla. Oggi è stata una giornata un po’ di merda, di quelle che son brutte da definire così perché è riduttivo e fuorviante, non che siano costernate di cibo per decompositori, semplicemente c’è ben poco da fare per raddrizzarle e quindi tanto vale prenderle per come sono, senza ombrello, senza cappuccio, niente cappello, senza tettoie, senza grondaie, coi tetti spioventi e così via. Mi sono alzato presto, attorno alle 6, giacché se non si hanno prospettive, allargare il tempo in cui esse possano esprimersi è certamente propedeutico all’odio per sé stessi e per l’universo intero e integro e tanto vale farlo, soprattutto per El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha, soprattutto quando questo non produce effetti tangibili su nessuna delle cose del mondo. E così, tra un tomar de pelo y otro, ho potuto innamorarmi di una giornalista di Rai News 24 che assomiglia ad Ugly Betty, non so se rendo l’idea. Circa otto minuti della sua voce non hanno comunque alleviato le mie sofferenze, ché non mi hanno reso sordo e quindi defunto. Poi la scuola m’è scivolata addosso, in modo scandalosamente sobrio, senza fare danni di sorta. O meglio, facendone un sacco, ma potendo lamentarmene solo nell’ordine di idee che ne prevede per le ovvietà, direi che farò a meno. Però mi lamento del tempo. Meglio che inizi anche a lamentarmi della mia coerenza, che mi spinge a tarparmi le ali, a spiegare le altrui, spiegando altrui cose che non comprendo, sperando che seguitino non comprendendole ché, se così fosse, mi supererebbero. Insomma, sono due giorni che scrivo questo post. Dilatando un po’ la cosa, si capisce, e poi mi vengono a dire che tratto le cose in modo confusionario, quelli che pensano ancora che io tratti cose. Orbene, non ho avuto esattamente altro da fare, le cose che dovevo fare non le ho fatte, le cose che ho dovuto fare le ho evitate, le cose che ho voluto fare mi allietato in ben due casi (a scanso di equivoci, in uno dei due, dormivo. E mi son svegliato 3-4 minuti fa, sempre a scanso di equivoci. Ma non vorrei pararmi il culo. Sia mai. Sempre fiero di quello che scrivo, mai contento di quello che scrivo. Sto scrivendo quindi con quel saporaccio in bocca, quello che sa di sveglia, che sa di sonno non dormito aggiungo al sonno in arretrato, che sa di posizione scomoda tenuta per tutta la notte, che sa di bolla di calore sopra il tuo letto e nessun altro punto della casa e così via. Mi chiedo, per altro, se quel sapore sia solo una cosa mia, ché vedo tutti pronti la mattina a fare cose, vedere gente, mangiare, etc, mentre l’unica cosa che vorrei fare io è mangiarmi le viscere per non sentire più quell’odore. Bene, potrei dichiarare chiusa la parentesi e pure la mia vita verso la razionalità), quindi potevo pure prioritarizzare la scrittura rispetto ad altro e nessuno si sarebbe offeso e invece. Mi costa un po’ di fatica, forse. Vorrei scrivere altro, forse. Vorrei saperlo fare. Vorrei non essere qui ora e adesso, probabilmente. Vorrei essere alle 17.12 che segnala il post, giacché non ho sistemato il fuso orario, certamente a fare altro. Orbene, quando dissi che ieri era una giornata di merda, non parlavo con cognizione di causa, parlavo con gli abiti intinti. Ugly Betty ha riempito il mio mondo e il mio essere giusto per una decina di minuti, poi ho affrontato la vera realtà, un’assurda voglia di cibo che mi lacerasse l’intestino, un’inconcepibile (ma non per questo irraccontabile, s’intende. Soprattutto per come lo racconto io) voglia di qualcosa di assolutamente inutile e perdipiù lesivo. E quindi, visto che sono figlio del mio tempo, pur non essendo un’opera d’arte, quest’esigenza mi ha portato a spendere parte del pomeriggio in un centro commerciale, trincerandomi dietro delle scarpe, che mi erano pure necessarie, ma, ecco, non erano esattamente il mio obiettivo principale. Scarpe prese, con tanto di commessa che mi ha chiesto che università frequentassi – e qui si apre uno spiraglio. Quanti universitari fanno shopping [Ho i brividi alle unghie a scrivere questa espressione, sia chiaro] con le loro madri? – e così via. Molto molto soddisfacente, quanto la seguente merenda da McDonald’s, ché in fondo era tutto ciò che desideravo più o meno dalle 9.48 della mattina. E insomma, così andò, in uno slancio di consumismo, ché ricordo esattamente che quand’ero piccolo amavo frequentare centri commerciali e affini e gli unici attimi di libertà da me della scorsa estate sono stati i frangenti spesi con mia madre al supermercato. Tutto ciò è terribilmente raccapricciante, ma è stato facile farci l’abitudine e il callo e la possibilità che tutto ciò vada diversamente ormai la vedo solo in lontananza con strizzando gli occhi come se dietro essa ci fosse il sole ed esso stesse splendendo come solo in perielio può fare. Tra Ugly Betty e la focalizzazione del mio bisogno d’amore sulle Chicken McNugget’s, ho realizzato che tra i miei innumerevoli problemi è pure annoverabile la mia totale incapacità a dire no. Per qualsiasi cosa. Per alcune cose ho avuto modo di giustificare la cosa razionalmente (ti faccio copiare i miei compiti perché voglio che poi tu prenda 3 nella verifica e, soprattutto, perché spero che tu possa morire ignorante come quando sei nato se non di più, ché riesci pure a regredire perché sei pure stupido), per altre proprio no. Per altre sono parecchio contento di non poter declinare, ma insomma, sebbene io mi tenga ben alla larga dal mondo e riesca, in cotal guisa, a evitarmi certe cose, non scampo a tutte. Non scampo a chi mi chiede se, dalla condizione di ignoranza in cui versavo e in cui mi son riversato più e più volte, mi va di frequentare quella scuola. Non scampo a chi vuole prestarmi un libro scritto da un gesuita (male) indiano (bene) che tratta di aquile che si credono pulcini fingendo di millantare che io mi sottovaluti quando sappiamo bene che l’unica cosa che sottovaluto di me è altezza, ché picchio la testa in tutti i luoghi e in tutti i laghi e forse qualche danno nel corso del tempo l’ho perpetrato. Non scampo a chi mi vuole portare a Messa a Natale, sebbene i miei pensieri siano, in quei frangenti, offuscati dalla valutazione delle possibilità che quel cero possa dare fuoco a tutto, lì attorno, senza che sembri sia stata colpa mia. In tutto ciò, non scampo nemmeno a chi mi chiede di fare un pellegrinaggio di 25 km a ritmo di cantilene messali, attorniato da decine di decine di decine di persone, per un totale di circa otto ore. Perché no? Cos’ho da fare, in fondo.
Nos enseñó mucho más de lo que debíamos aprender, però nos enseñó sobre todo que ningún lugar en la vida es más triste que una cama vacía.